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I PRINCIPI

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LE ORIGINI

LE ORIGINI DEL KŌSHIDŌ E LA SUA SCUOLA Il Sensei Michele Lattuca, l’8 marzo del 1996 fonda a Serradifalco, nel cuore della Sicilia, una nuova Scuola di pensiero e di movimento basata sullo studio delle Arti Marziali come mezzo di crescita:

La Scuola di Arti Marziali S.K.B. La Scuola si basa su una nuova disciplina marziale da egli creata, alla cui base c’è l’ambizione del praticante che percorrendo la “via” mira a ricercare l’equilibrio, inteso come sintesi armonica di mente corpo e spirito.

Il nome della disciplina è infatti “La via della ricerca dell’equilibrio”. MATURAZIONE E SVILUPPI Il Sensei Michele Lattuca dopo anni dedicati allo studio e alla pratica del Judo, dell’Aikido, del Ju-Jutsu ma soprattutto del Karate Do, matura il suo pensiero “ideale” di arte marziale. Il nome della nuova disciplina, La via della ricerca dell’equilibrio, per avere una migliore collocazione nell’ambito delle Arti Budo, necessitava di una traduzione in lingua giapponese che esprimesse pienamente il concetto. Inizialmente l’idea del Sensei Lattuca è stata tradotta con il nome di Kyushindo Budo.

Col tempo e con ulteriori studi su una traduzione sempre più specifica e chiara del concetto, ci si è resi conto della inadeguatezza del nome che non traduce letteralmente il suo reale significato; e anche perchè tale termine ha assunto nel mondo molteplici e ambigui significati.

Questo ha dato uno stimolo verso una ricerca di una nuova interpretazione che esprimesse letteralmente l’idea del suo creatore e che fornisse una chiara identità alla nuova disciplina. In tal senso dopo varie consultazioni con diversi madrelingua giapponesi si è arrivati alla traduzione del concetto chiara ed esplicita, ovvero Kōshidō Budō衡誌道. composto dai kanji di 衡 kō equilibrio 誌 shi ambizione/ricerca 道 dō via la cui unione fornisce il filo conduttore della disciplina stessa ovvero “La via della ricerca dell’equilibrio”.

Il suffisso budō invece rappresenta l’anello di congiunzione col passato, il legame con la tradizione, ad indicare la continuità con i principi etici che fin dall’inizio hanno caratterizzato le discipline orientali.

Da questo legame che il suo fondatore ha con la tradizione, nasce l’esigenza di attribuire ad essa un nome giapponese che esprimesse il concetto italiano senza tralasciare il legame con le origini.

L’ESIGENZA DI UNA NUOVA DISCIPLINA

Cenni storici Per capire meglio il perché di una nuova disciplina che indicasse ai praticati una nuova Via bisogna partire da alcuni punti di domanda necessari sulla storia delle arti marziali,la loro valenza sociale, la loro evoluzione e contestualizzazione nel tempo fino ai nostri giorni, per potersi proiettare agli sviluppi futuri.

La storia delle arti marziali è molto lunga e frammentata e non si presta a facili spiegazioni. Indubbiamente ogni disciplina marziale (a prescindere dalla finalità perseguita) arrivata a noi oggi porta con sè un percorso personale ed una storia a sè stante.

Ci sono però dei punti storici che accomunano tutte o parte di esse. Il primo tassello è sicuramente la loro reciproca influenza in determinati periodi storici e contesti socio-culturali.

Parlare di una storia specifica di un’arte marziale tralasciando o non valorizzando le influenze che essa ha avuto da altre arti non sarebbe corretto. Il secondo tassello comune nel ripercorrere la storia delle Arti Marziali è la figura di Jigoro Kano fondatore del Judo.

A lui si deve la costituzione di quello che fu l’emblema del Judo nel mondo, il Kodokan alla fine del 1800, ma non solo. A lui va infatti il merito dell’idea di fondo delle arti budo ovvero il concetto secondo il quale la lotta non è contro avversari reali ma contro se stessi.

Un ulteriore punto che accomuna gran parte delle discipline marziali è il significato della parola BUDO divenuta oggi simbolo di “contenitore” che racchiude tutte le arti marziali ma non il loro contenuto. Budo oggi infatti è sinonimo di arte marziale in genere o ancor peggio di “palestra”, denigrando dunque i valori etici e morali che le caratterizzano.

Altro tassello importante che merita una accurata riflessione è il periodo storico che ruota intorno al 1900 , anno dal quale le arti marziali nel mondo hanno subito grandi trasformazioni che le hanno portate ad una divisione triadica tra Sport, discipline unicamente tecniche e arti intese come Via, ma tutte denominate erroneamente con un nome unico di Arti Marziali.

Nel concreto però queste hanno assunto una specificità, una finalità e una tipologia di allenamento completamente opposta, che impone al praticante dei limiti naturali che non gli permettono di esprimere al meglio le sue potenzialità. Queste discipline infatti sviluppano un solo ambito di studio, prediligendo una sola forma di attacco e difesa o uno specifico regolamento o una specificità tecnica escludendo così dalla pratica i soggetti meno portati per quel determinato settore.

INNOVAZIONE TECNICA

Sulla base di quanto detto si evince una delle innovazioni fondamentali del Kōshidō, ovvero una disciplina aperta a tutti dove ognuno può trovare la propria dimensione e sviluppare la parte migliore di sé tramite lo studio di tutti gli aspetti dell’Arte.

Non è dunque il praticante che si lega all’arte ma essa che si lega a lui. Secondo la concezione del Sensei Lattuca, un’Arte Marziale non deve prediligere un singola parte tecnica o uno specifico settore ma deve porre il praticante nelle condizioni di poter valorizzare se stesso esaltando le qualità insite in ognuno.

La necessità di creazione di questa nuova disciplina nasce dal fatto che il praticante che intraprende la Via deve trovarsi nelle condizioni di avere di fronte a se lo studio delle arti marziali a 360°.

La base tecnica e i principi che la sorreggono devono formarlo in tutte le sue dimensioni permettendogli di esprimere l’arte secondo le proprie qualità innate e fornendogli l’essenza come principio base, la tecnica come bagaglio strumentale e la padronanza come competenza. Il programma tecnico in tal senso non prevede una specificità di studio ma verte sulla complessività di tutti i settori.

Il praticante studierà i diversi ambiti divisi in specifici approfondimenti: L’arte del colpire, del proiettare, del corpo a corpo, delle leve, delle armi etc. Esso racchiude in se lo studio di specifici Kata di atemi, di cadute, di proiezioni, di leve, di armi e di posture, che ritroviamo nello Studio ( Kumitè -Combattimento) tra due o più praticanti. In sintesi la nuova disciplina marziale in quanto tale non funge da protocollo standardizzato di tecniche ma fornisce gli strumenti per la libera composizione dell’Arte.

IL KOSHIDO BUDO COME VIA

La Via della ricerca dell’equilibrio, ovvero il Kōshidō Budō mira allo sviluppo armonico e completo della persona in tutte le sue dimensioni, valorizzando l’identità, l’autonomia e le capacità di ogni singolo praticante che deve avere all’interno del Dojo la possibilità di accrescere le sue potenzialità psicofisiche.

Si mira quindi alla formazione globale dell’uomo il quale attraverso un incessante lavoro di ricerca della perfezione dell’esecuzione del gesto fisico possa raggiungere anche l’elevazione spirituale cercando di trovare l’equilibrio tra mente corpo e spirito.

Grazie alla valorizzazione dell’individuo si induce il praticante ad una apertura mentale che gli permette di crescere tramite l’accettazione delle diversità, trasformando le capacità diversificate di ognuno in mezzo di crescita per gli altri. Solo tramite un’accurata analisi introspettiva il praticante potrà conoscere se stesso imparando a prendere coscienza dei limiti e delle potenzialità e proverà tramite l’allenamento a superarli perseverando nel miglioramento quotidiano.

La pratica del Kōshidō Budō funge da specchio, aiuta a conoscere se stessi, doti e umane imperfezioni ed è sviluppando questa sensibilità che permette di vedere se stessi da angolazioni severe per correggersi che il Kōshidō Budō acquista un senso educativo.

Analizzando e riflettendo su quello che accade dentro se stessi durante l’allenamento ed il combattimento, il praticante può confrontarsi con l’energia che passa nel suo corpo. A poco a poco capirà concretamente che la pratica tecnica è inseparabile dallo stato mentale e che per eccellere in tecnica occorre rinforzare lo spirito, il corpo e la mente Il praticante che prova a conoscere se stesso, proverà nel contempo a conoscere gli altri e ad imparare da essi.

Ogni singolo praticante diventa così un tassello fondamentale per il gruppo, diviene forza motrice per il percorso di crescita personale, dei compagni e della Scuola. I punti di forza dei compagni di pratica diventano la spinta per il superamento dei limiti personali.

Durante la fase di studio si noteranno le qualità di ognuno che saranno da spunto per la crescita dei compagni i quali più che a sopraffarsi reciprocamente tendono a stabilire un rapporto di equilibrio armonico tra l’individuo e il mondo nel suo insieme, attraverso la dinamica di energia che si sviluppa nell’atto del confronto fisico, e al complessivo miglioramento di se stessi e della propria consapevolezza. In questa ottica dunque la tecnica che viene fuori è qualcosa di più dell’espressione dell’uomo che l’ha prodotta, è il mezzo per la sua formazione.

La nuova disciplina mira ad educare alla competenza e non al solo sapere, inducono il praticante all’elaborazione e non alla semplice assimilazione di tecniche. Egli dopo circa 10 anni (cintura nera) avrà acquisito le basi tecniche per poter esprimere al meglio l’Arte e gli saranno da supporto fondamentale per intraprendere il percorso della Via, la Via dell’equilibrio intesa come sentiero di vita per una crescita mentale, fisica e spirituale.

IL KOSHIDO COME MEZZO PER LA SOCIETÀ ODIERNA

Mezzo: La nostra società, è definita oggi come società di massa cioè tendente all’omologazione dei gusti e delle idee. Si assiste infatti ad una progressiva “spersonalizzazione” ed un conseguente appiattimento culturale dettato dalle istituzioni sociali che limitano e controllano le reali doti umane.

Il kōshidō Budō inserito nella società odierna, grazie al suo substrato filosofico, costituisce un chiaro esempio di come un’Arte marziale possa fungere da mezzo di crescita e come questa sia perfettamente contestualizzata ai giorni nostri.

Lo studio di questa nobile arte infatti mette in risalto la personalità, le capacità e valorizza ogni praticante sia come singolo individuo, sia come membro del gruppo. Grazie alla maggiore consapevolezza di se stesso, il praticate di KB acquisisce nel tempo una apertura mentale che lo porta all’accettazione delle diversità.

L’accettazione non viene dunque vista come una imposizione, una convivenza forzata ma come un aiuto ad una apertura mentale che permette all’individuo autoanalizzarsi, correggersi e valutare la società da più punti di vista per meglio trovare il proprio “spazio vitale” e allo stesso tempo, imparerà a conoscere gli altri, valorizzare le differenze di ognuno e imparare da esse.

Questa continua analisi si trasformerà nel tempo in una grande ambizione di ricerca del sé, e del senso della propria esistenza. Si cercheranno le piccole sfumature di se stessi, si imparerà a conoscersi, a capirsi e vivere ogni giorno come una nuova sfida per una maggiore consapevolezza di se e della propria vita.

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